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Nonno Cesare
 
Riduci
S. Ten. Cesare Ferri "I TACCUINI DI GUERRA 1917-1818"
Pubblicazione: Settembre 2018 Pagine: 158 p.

Le esperienze di guerra di un giovane idealista di ventitré anni negli appunti in diretta sui suoi taccuini o su fogli sparsi rimediati all’occorrenza. Dall’accademia al fronte sulle Alpi, il cameratismo, l’entusiasmo e le sofferenze, le ferite sotto i bombardamenti, il desiderio di diventare aviatore per emulare l’eroe che vide, dalla sua trincea, far strage di aerei nemici, fino all’esperienza in Libia e al grido liberatorio della vittoria, sempre sognando un’Italia migliore. Pubblicazione: Settembre 2018

PREFAZIONE: Un taccuino, un’agenda e un po’ di fogli sparsi. Prenderli in mano e leggerli, anzi, provare a leggerli, sforzarsi di leggerli, di capirli, è un’esperienza unica. Cento anni fa su quelle pagine scriveva un giovane di poco più di vent’anni. Cento anni fa, vent’anni. Un’epoca lontana, un’età straordinaria, proprio come nella storia lo divennero quelle che ebbero un’altrettanto particolare propensione a raccontarsi, nella scrittura come nelle arti. Inoltre sono proprio quegli anni del “secolo breve”, e quel preciso teatro di guerra, dove il tradizionale gesto eroico del singolo convive con nuovi sovrumani strumenti tecnologici, a prefigurare, in una delle transizioni più cruciali della storia umana, il dominio totale della tecnica. Anche nostro nonno, pure ancorato ai miti risorgimentali, nelle sue pagine mostra spesso di subire il fascino della potenza formidabile sprigionata dalle nuove macchine da guerra.
Sono pagine vergate con immediatezza, a volte solo appunti, elenchi di nomi, di cose da fare, di adempimenti, annotati con estrema accuratezza. Il realismo viene meno solo quando sceglie di coprire certi dettagli con un gentile velo di reticenza: possiamo solo immaginare ad esempio il suo stato emotivo nel momento in cui la morte lo sfiorava; o per quale motivo puniva talvolta un suo sottoposto; ma anche cosa rappresentassero le signore o signorine di cui annotava generalità e indirizzo (un solo cedimento al riguardo in Libia, a guerra finita: “Sino alla fine del mese obbligo di castità per gli Ufficiali aviatori ed altri! … è pietoso!).
Poi ci sono le citazioni, i pensieri, che rivelano le emozioni di un giovane ufficiale in guerra. Una guerra nella quale credeva e alla quale ha partecipato senza ritrosie. Guerra vissuta da lui e da tanti giovani della sua generazione anche come slancio antiborghese verso una vita da vivere intensamente.
Noi oggi abbiamo un legittimo orrore della guerra e la nostra stessa Costituzione la bandisce. Giustamente. Ma la nostra Costituzione è anche figlia di quella guerra e degli ideali di tutti coloro che vi hanno preso parte e che vi si sono sacrificati. Quindi, lungi dal leggere in chiave contemporanea gli entusiasmi che hanno animato Cesare Ferri cento anni fa, noi, suoi nipoti, abbiamo cercato l’uomo tra quelle righe scritte a volte troppo in fretta, forse troppo in ansia. Il giovane entusiasta pronto a sacrificarsi per l’ideale di una nuova Italia, unita, forte e solidale. Il giovane fervente mazziniano imbevuto allo stesso tempo di due passioni che oggi in Italia ci si ostina troppo spesso a giudicare ideologicamente inconciliabili: l’aspirazione al progresso civile e sociale e l’amor di patria.
Dimentichiamo le nostre categorie politiche e culturali e proviamo ad avvicinare quelle che permeavano il giovane sottotenente Cesare Ferri, che affiorano visibilmente qua e là dai suoi appunti. Proviamo a immaginarlo nella penombra della sua trincea ad annotare frettolosamente qualche impressione, il ricordo di un evento, frammenti di vita convulsa cristallizzati nell’inchiostro.
Aveva ventiquattro anni quando vergò entusiasta la parola Vittoria! Aveva appena realizzato il suo sogno di diventare aviatore e si trovava in Libia, da una guerra all’altra. Fermiamoci un po’ a riflettere com’è cambiala la vita. Com’era quella dei suoi figli, che allora ancora non c’erano, quando avevano ventiquattro anni? E com’eravamo noi, i suoi nipoti, alla stessa età? E che dire dei ventiquattrenni di oggi? Non è nostalgia, ma consapevolezza di come cambiano le cose. Perché il cambiamento è inevitabile, va capito e accettato. Ma non bisogna dimenticare. E nulla è più forte delle emozioni che arrivano in diretta dal passato. Tutte da sviscerare, da imparare a leggere. Questo lavoro è un primo passo.
I nipoti
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