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dall'introduzione a "Nonno Radio - Cesare Ferri, educatore e pioniere dall'URI all'EIAR".
. Esaminammo poi il carteggio con gli intellettuali del movimento mazziniano nei primi anni del regime, quando lui esercitava a Roma l’attività di insegnante. Rintracciammo al riguardo nell’Archivio di Stato alcune sue lettere indirizzate a Mussolini, che quest’ultimo aveva conservato e custodito nel suo archivio personale. Su alcune di queste campeggiano annotazioni aggiunte in penna dal duce stesso con la sua grafia inconfondibile, quali “riservata” o “riservatissima”. Apprendemmo anche da una relazione del prof. Michele Finelli dell’Università di Pisa (“La memoria contesa”, 2007) che il Duce finanziava in segreto la rivista dell’Unione Mazziniana “Il Patto Nazionale”, su cui scriveva nostro nonno, facendo pervenire l’importo direttamente a lui stesso. Evidentemente Mussolini mentre scendeva a compromessi con la destra monarchica per acquisire consensi, si preoccupava di sostenere i suoi vecchi compagni repubblicani.
La scoperta dell’attività politica di nostro nonno fu quindi per noi anche la scoperta di delicate dinamiche politiche di quella fase storica, forse non ancora adeguatamente esplorate.
E poi l’ingente materiale sulla sua attività radiofonica. Dagli scatoloni conservati nelle cantine dello zio Arnaldo sono emerse straordinarie testimonianze dirette di una delle prime trasmissioni di grande successo in Italia. Le schede scritte di pugno da Nonno Radio ci raccontano come è nato un personaggio diventato popolare proprio alla nascita di un nuovo mezzo di comunicazione di massa. Rileggendo i brogliacci delle sue trasmissioni si intuiscono i motivi di questo successo: il racconto semplice e coinvolgente e, soprattutto, il rapporto diretto con gli ascoltatori. Un colloquio stretto con i radionipoti, molto lontano dal divismo televisivo che sarebbe venuto dopo.
Nonno Radio è un personaggio amato e rispettato come lo è un bravo maestro di scuola, che chiama per nome i suoi scolari-nipoti e legge brani delle loro lettere. Nonno Radio però, come ci dicono le carte, ha una piena coscienza delle potenzialità del nuovo mezzo radiofonico. Nella straordinaria struttura del programma del Giornale Radiofonico del Fanciullo, in trenta minuti, ci sono richiami storici, notizie d’attualità, racconti di fantasia, l’intrattenimento e lo spazio finale dedicato al colloquio diretto con gli ascoltatori. È una sorta di anticipazione di quei palinsesti che trent’anni dopo hanno unificato l’Italia davanti alla televisione.
L’appello ai radionipoti è anche, nello stile di quegli anni, una chiamata alle armi, un invito alla mobilitazione dell’Italia alla ricerca della modernità. Chi vuol essere radionipote non può limitarsi all’ascolto della radio, deve scrivere, partecipare alle adunate, essere parte attiva di questa avventura.
E certamente avventurosa è stata l’esperienza di Nonno Radio che ha visto crescere il successo della sua trasmissione in anni di veloce trasformazione della società italiana, un paese che al momento dell’unificazione (1861) aveva l’80% della popolazione analfabeta e che nel 1921 aveva ancora percentuali di analfabetismo oltre il 20% della popolazione.
Nonno Radio si trova a parlare direttamente a una popolazione enorme di ragazzi e prova a raccontargli il mondo che cambia, a cominciare dall’aeronautica, la straordinaria avventura della navigazione dei cieli, di cui aveva avuto esperienza diretta, simbolo di una nuova era, piena di promesse, dove tutto stava diventando più veloce.
Così come velocemente si sviluppa il mezzo radiofonico e la sua dimensione di medium di massa. L’esperienza della Radio Rurale, descritta in questo saggio, mostra l’impatto che le nuove tecnologie di comunicazione hanno avuto su un’Italia, che è ancora in gran parte contadina. Con il crescere dell’importanza politica della radio, la figura di Nonno Radio sembra divenire più laterale, in un processo di “mobilitazione delle masse” dove il controllo statale diventa sempre più pressante.
Un processo che raggiunge il culmine con l’entrata in guerra dell’Italia e finisce, come direbbe Ezra Pound, con uno “schianto”: la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943.
Sul biennio tra il ’43 e il ’45, quando il nonno fu uno dei pochi dipendenti dell’Eiar a trasferirsi al nord con la famiglia dopo l’8 settembre, abbiamo raccolto le testimonianze dei nostri genitori e zii, che abbiamo trascritto nel nostro sito web. Conserviamo alcune copie del Corriere dei Piccoli, che il nonno diresse tra il ’43 e il ’44 a Milano. In quelle pagine, di numero ridotto e dalla carta molto scadente, riesce a manifestarsi intatta la sua attenzione al mondo dell’infanzia, con le storie fantastiche raccontate e illustrate, piene di candore, pervase da ideali ingenui e puri come la sincerità, la lealtà, il coraggio, sempre in grado di entrare nel cuore dei fanciulli.
L’Italia stava precipitando nell’abisso della guerra civile e Milano era il fondo di questo abisso: Cesare Ferri aveva fatto una precisa scelta di campo, non lo si poteva immaginare d’altronde capace di abbandonare i suoi radionipoti sotto le bombe, qualcuno ad esempio doveva occuparsi della corrispondenza via radio con i loro papà al fronte. Ma rimase sempre immune dall’odio irriducibile che lacerò il nostro tessuto civile, e che ancora oggi non si può dire definitivamente consegnato alla storia.
Degli anni difficili del dopoguerra abbiamo trovato, sfogliando anche all’interno della sua corrispondenza, diverse tracce dei suoi sforzi di trovare per sé un ruolo che potesse dare continuità al lavoro che aveva svolto da sempre: possediamo ad esempio alcune copie di “Bambola”, una rivista per bambine edita a Milano.
Cesare Ferri si era guadagnato in tanti anni amici ed estimatori, alcuni dei quali lo coinvolsero in piccole avventure editoriali come questa. Ma l’epurazione e poi l’ostracismo della Rai e delle grandi case editrici gli preclusero la possibilità di raggiungere in questo campo la stabilità che gli era necessaria per sostenere la numerosa famiglia. Tornò nel ‘53 a Roma, dove per alcuni anni ottenne un sostegno economico dal fratello maggiore, zio Amleto, aiutandolo nella sua attività commerciale, naturalmente per quanto fosse possibile a un uomo di formazione intellettuale.
A noi invece rimangono impresse le immagini un po’ più recenti di lui la mattina di ritorno dall’edicola, con in mano un plico di giornali, e poi la sua giornata in compagnia dei suoi libri, le lunghe chiacchierate con noi, il suo piacere di parlarci e ancor più di ascoltarci: amava assecondare la nostra potenza immaginativa di bambini e amava vederci crescere, giorno per giorno. Per comprendere questo abbiamo impiegato un bel po’ di anni, naturalmente.
Di nonno Cesare abbiamo ricevuto in eredità ogni sua parola, a cominciare da quelle che sapeva rivolgerci per consolarci, quando indovinava un dolore vero distinguendolo da un banale capriccio. E possiamo anche considerare un’eredità la propensione di diversi tra noi nipoti per l’insegnamento, il giornalismo, la scrittura.
Questo libro realizza un sogno, un’aspirazione che tutti noi nipoti avevamo fin da quando abbiamo potuto dare la prima scorsa ai tanti documenti che sono qui citati. Il sogno era quello di rendere pubblico questo materiale e poter rappresentare in modo unitario la figura del nonno, che fu soldato, attivista politico a partire dalle prime posizioni socialiste e mazziniane, giornalista, educatore, autore di racconti per l’infanzia, pioniere della comunicazione mediatica, fu tra coloro che diedero slancio all’opera di alfabetizzazione in Italia, fu per vent’anni uno dei personaggi più amati dai bambini italiani.
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